Pubblicato il 29 lug 2015 Lettera aperta alla redazione del Tg La7
Spett.le redazione,
da alcuni giorni noto che nel corso dei vostri tg
nel riferire dell’aggressione militare e poliziesca in corso da parte della
Turchia contro i militanti e i simpatizzanti del PKK di Ocalan li definite
“separatisti curdi”.
La cosa stupisce perché dà l’idea che, nonostante
la eroica resistenza di donne e uomini del PKK in Siria e Iraq contro i
tagliagole dell’Isis, si ignorino gli obiettivi e le ragioni per cui tante
persone hanno sacrificato la vita in questi mesi mentre stati della Nato o
comunque alleati dell’occidente in maniera diretta e/o indiretta hanno offerto
copertura ai fondamentalisti.
Non sfuggirà al direttore e alla redazione che
definire “separatisti” i curdi può apparire una maniera per rende meno gravi le
azioni che il governo turco sta portando avanti contro l’intero popolo
curdo.
Avendo la vostra rete televisiva ampiamente
raccontato l’assedio di Kobane mi stupisco che non sia giunta all’orecchio della
redazione il “confederalismo democratico” che da anni costituisce il cuore della
strategia di Ocalan e del PKK e anche il cuore della proposta di pace che il
governo turco si ostina a non accettare. Al contrario di partiti presenti nel
parlamento italiano il PKK non ha come obiettivo statutario la secessione dalla
Turchia ma il riconoscimento dei diritti del popolo curdo.
La stessa esperienza di autogoverno di Kobane e
del Rojava è una concretizzazione di quell’obiettivo.
Il PKK su impulso di Ocalan da anni ha rinunciato
a una strategia di risoluzione della questione dell’autodeterminazione del
popolo curdo fondata sul nazionalismo e quindi sulla prospettiva che i territori
del Kurdistan che sono ricompresi in vari Stati-nazione esistenti o quasi
(Turchia, Siria, Iraq, Iran) attraverso il separatismo vadano a costruire
un’entità statale curda. Il separatismo non è la bandiera del PKK che rivendica
invece la possibilità dell’autogoverno per i curdi in tutti gli stati della
regione nell’ambito di un processo di democratizzazione degli stessi. Per questo
i curdi alla violenza settaria, che vede contrapposti sunniti e sciti e sulla
quale l’occidente e i suoi alleati nell’area gettano benzina, hanno contrapposto
in Rojava un modello di convivenza fondato sulla tolleranza inter-religiosa, la
democrazia e l’emancipazione da residui feudali o da modelli patriarcali.
Queste cose Ocalan le scrive da anni:
“Un’infiammata del nazionalismo curdo potrebbe rendere ancor più radicali i
nazionalismi persiano, arabo e turco, rendendo ancor più difficile una soluzione
del problema. Si deve contrastare questo tipo di prospettiva con un model-lo di
soluzione libero da aspirazioni nazionalistiche, che parta dal riconoscimento
dei confini territoriali esistenti. In cambio i vari stati dovranno riconoscere
per iscritto nelle rispettive costituzioni l’esistenza dei Curdi come popolo,
garantendo loro i diritti legati alla cultura, alla lingua ed alla
partecipazione politica. Una soluzione di questo tipo sarebbe quella più
corrispondente alle realtà storiche e sociali della regione. Alla luce di tutto
questo far pace coi Curdi sembra inevitabile. La guerra attuale o qualsiasi
altra guerra futura non potrebbe che risolversi in una vittoria di Pirro. Si
deve quindi porre ine a questa guerra, durata in troppo.(…) Alla società turca
offro una soluzione semplice. Chiediamo una nazione democratica. Non siamo
contrari né allo stato unitario, né alla repubblica. Accettiamo la repubblica,
la sua struttura unitaria ed il laicismo, ma crediamo che debba essere ridefinita
come uno stato democratico che rispetti i popoli, le culture ed i diritti. Su
questa base i Curdi devono essere liberi di organizzarsi in modo tale da poter
vivere la propria lingua e cultura e da potersi sviluppare economicamente ed
ecologi-camente. Curdi, Turchi ed altre culture potrebbero così vivere insieme
in Turchia, sotto lo stesso tetto di una nazione demo-cratica. Ciò è però
possibile soltanto con una costituzione democratica ed una struttura giuridica
avanzata che garantisca il rispetto delle diverse culture. La nostra idea di
nazione democratica non è definita da bandiere e confini. La nostra idea di
nazione democratica ab-braccia un modello fondato sulla democrazia, piuttosto
che un modello basato su strutture statali ed origini etniche. La Turchia deve
definire se stessa come una nazione che comprenda tutti i gruppi etnici. Un
modello fondato cioè sui diritti umani, invece che sulla religione o la razza.
La nostra idea di nazione democratica abbraccia tutti i gruppi etnici e tutte le
culture”. Queste parole di Ocalan sono del 2008. La rete è piena di materiale
accessibile in lingua italiana/ inglese/francese. E’ davvero incredibile che la
cosa sfugga e che il PKK – dopo che il sacrificio delle sue combattenti è stato
oggetto di corale ammirazione internazionale – venga raccontato attraverso la
lente deformante della propaganda del governo nazionalista e islamista di
Erdogan.
Proprio la strategia del “confederalismo
democratico” ha consentito ai curdi in Turchia di costruire un nuovo partito
come l’HDP che ha raccolto non sono tutte le altre minoranze ma soprattutto ha
superato storiche incomprensioni con altri settori della sinistra turca
favorevoli alla salvaguardia dell’unità nazionale.
Il “confederalismo democratico” è volto proprio a
scompaginare le linee di separazione e contrapposizione che hanno trasformato
l’intera regione del Medio Oriente nello scenario di una spirale interminabile
di odio, violenza e guerra e costituisce anche un’alternativa al riprodursi di
regimi autori e antidemocratici.
L’escalation terroristica in atto con attentati
sanguinosissimi in Turchia contro i curdi, la ripresa degli attacchi militari e
della repressione poliziesca contro il PKK rappresentano una reazione fin troppo
evidente del governo turco al successo elettorale dell’HDP che ha impedito a
Erdogan di avere la maggioranza assoluta e alla larga simpatia che a livello
internazionale si è diffusa grazie all’eroica battaglia di Kobane.
Dopo Kobane risalta agli occhi dell’opinione
pubblica come palese ingiustizia che Stati Uniti e Unione Europea, che contano
tra i propri partner nella regione molti sostenitori e complici dell’Isis,
continuino a mantenere il PKK nell’elenco delle organizzazioni terroristiche,
come accadde anche all’African National Congress di Mandela.
Se Erdogan vuole riportare indietro le lancette
dell’orologio e costringere il PKK al ritorno allo scontro armato –
unilateralmente sospeso da tempo per iniziativa di Ocalan – è bene che la nostra
informazione non accompagni questa escalation riproponendo rappresentazioni dei
compagni curdi che da lungo tempo han perso fondamento.
Confido che la vostra redazione converrà che non
è giusto e corretto affibbiare agli uomini e alle donne del PKK e al loro leader
Abdullah Ocalan nel quale si riconoscono la stragrande maggioranza dei curdi, in
Turchia come nell’emigrazione europea, un’intenzione separatista che non è la
loro.
Cordiali saluti
Maurizio Acerbo
Segreteria nazionale
Partito della Rifondazione Comunista
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