Pubblicato il 14 dic 2014
di Andrea Fabozzi – da
il
manifesto
Riforme. La commissione della camera chiude
l’esame della nuova Costituzione firmata Renzi e Boschi. Passano solo modifiche
marginali. Opposizioni respinte, leghisti e grillini fuori, la minoranza Pd
sceglie di non fermare il governo
Nel giorno più lungo delle riforme
costituzionali in commissione alla camera, la minoranza del Pd ha il tempo
di cambiare più volte strategia. Prima la minaccia del muro contro muro che
non avrebbe consentito al governo di andare avanti, poi l’Aventino —
«sostituiteci tutti» — poi una semplice astensione e infine una rassegnata
partecipazione, in qualche caso per incassare limitate modifiche al
testo difeso dalla ministra Boschi. Sempre, qualsiasi fosse l’atteggiamento
adottato, la minoranza si è divisa e la dozzina di esponenti delle correnti
non renziane (bersaniani, lettiani, Bindi) non è riuscita a fare blocco.
È così ieri sono stati approvati alcuni emendamenti dei relatori Fiano (Pd)
e Sisto (Forza italia), custodi del patto del Nazareno, i primi dopo che in
dieci giorni di discussione la commissione affari costituzionali aveva
segnato non più di dieci micro modifiche alla riforma proposta e imposta da
palazzo Chigi.
Le novità riguardano il procedimento
legislativo, che se possibile si complica. Le leggi saranno divise in
quattro categorie: quelle sulle quali il senato avrà la stessa competenza
della camera (leggi costituzionali e poche altre); leggi alle quali il senato
potrà proporre modifiche (entro 30 giorni) che la camera potrà ignorare
confermando le sue decisioni; leggi comprese in un elenco di materie (Roma
capitale, governo del territorio, protezione civile, atti normativi
dell’Ue, finanza locale…) alle quali il senato potrà proporre modifiche ma
solo a maggioranza assoluta, modifiche che la camera potrà ignorare ma
votando a sua volta a maggioranza assoluta; leggi di bilancio che il senato
potrà proporre di modificare solo col voto dei due terzi dei senatori,
mentre alla camera per ignorare le modifiche basterà sempre la
maggioranza assoluta. Dal bicameralismo paritario al bicameralismo
confuso: a mettere ordine in questo caos, decidendo per ogni legge l’iter
corretto, dovranno essere i presidenti di senato e camera — sul punto la
riforma di Renzi è molto simile a quella di Calderoli bocciata dal
referendum nel 2006.
Cambia anche l’ultimo comma dell’articolo 12
della riforma, quello che ha regalato al governo un altro strumento per
imbrigliare il parlamento — oltre alla fiducia e ai decreti -, il
cosiddetto «voto bloccato». Che bloccato non sarà più, nel senso che
trascorsi 75 giorni dalla presentazione di un disegno di legge che il
governo giudica «essenziale» (oppure 70 giorni, oppure 60, in un trionfo di
subordinate) la camera dovrà obbligatoriamente votarlo, ma (ecco la
concessione) anche nel testo eventualmente modificato dalle commissioni.
Tutte le minoranza chiedevano di cancellare completamente questo nuovo
istituto che amplifica il controllo dell’esecutivo sul potere legislativo.
Ma la minoranza Pd ha di fatto accettato la mediazione, limitandosi a non
partecipare al voto e sperando nell’impegno dei relatori di discuterne
ancora in aula.
Promessa per promessa, si potrebbe riaprire in
aula anche il caso dell’articolo 13, che al secondo comma ha introdotto la
verifica preventiva delle leggi elettorali, quando un terzo dei deputati
chiede alla Corte costituzionale di valutarne la legittimità prima della
promulgazione. Le minoranze proponevano di rendere automatica questa
verifica o almeno di abbassare il quorum previsto per la richiesta, a un
quarto o un quinto dei deputati. Ma soprattutto chiedevano di sottoporre
alla verifica della Consulta anche la nuova legge elettorale, l’Italicum che
sta andando avanti al senato e che verosimilmente sarà approvato prima della
revisione costituzionale. Ma Renzi non vuole, con questo ammettendo
i limiti dell’Italicum e preparando un nuovo «caso Porcellum». E così
nessuno degli emendamenti viene accolto e per questo leghisti e grillini
abbandonano l’aula della commissione alle otto di sera. La minoranza Pd che
si era attestata su questa trincea — viste tutte le critiche e le
preoccupazioni che i bersaniani hanno per la riforma elettorale — anche
in questo caso sceglie di rinviare lo scontro all’aula, dove i rapporti di
forza sono in favore dei renziani.
Nella tarda serata, troppo tarda per gli orari di chiusura del manifesto, la commissione è tornata sullo stesso punto, discutendo le disposizioni finali della riforma. L’ultima occasione per verificare l’impegno dei dissidenti del Pd, in maggioranza in commissione eppure disposti a chiedere di essere sostituiti per tenere insieme i problemi di coscienza con quelli di un esecutivo che in pratica ha messo la fiducia sulla modifica della Costituzione.
Nella tarda serata, troppo tarda per gli orari di chiusura del manifesto, la commissione è tornata sullo stesso punto, discutendo le disposizioni finali della riforma. L’ultima occasione per verificare l’impegno dei dissidenti del Pd, in maggioranza in commissione eppure disposti a chiedere di essere sostituiti per tenere insieme i problemi di coscienza con quelli di un esecutivo che in pratica ha messo la fiducia sulla modifica della Costituzione.
Alla fine della lunga giornata, sì a un quorum
più altro per l’elezione del capo dello stato e corsa per chiudere ed evitare
la convocazione domenicale. Nella riforma tornano anche i senatori a vita
che la minoranza Pd nel suo unico strappo aveva cancellato. Tutto
rispettando la tabella di marcia voluta da Renzi, malgrado il tempo perso per
dare per dare l’impressione di cercare la mediazione all’interno del Pd, tempo
in definitiva sottratto al dibattito. L’aula aspetta la riforma
costituzionale martedì, in mezzo solo il concerto di natale.
ANDREA FABOZZIda il manifesto
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