Ciao Luca
Silvia Martorana
24
Febbraio 1986. Avevo 11 anni. Suona il telefono. Mia madre risponde. Poi tace.
Riattacca. “Hanno sparato a Luca. Luca è morto. Luca è morto”
Casa mia, via Candiani 120, in Bovisa.
Difficile per chi conosce la Bovisa oggi immaginare com’era nel 1986. Gli anni
’80 erano gli anni ’80 anche in Bovisa, l’eroina devastava una generazione
tagliata fuori dalla vita sociale e politica, gli immaginari del decennio
precedente venivano ribaltati. Da quartiere industriale e operaio la Bovisa si
trasformava in periferia degradata, passando rapidamente sui giornali dalle
pagine di politica a quelle di cronaca. Di quegli anni da poco più che bambina
ricordo il cortile col cesso in fondo al ballatoio, il vicino di casa che spara
alla moglie, i vetri rotti delle ormai ex fabbriche intorno alla stazione.
Ma non solo.
Sopravviveva, come eredità degli anni ’70,
una rete di relazioni umane, sociali e politiche che costituiva il tessuto
solidale del quartiere, partecipato, vissuto. Come una rete di protezione per i
più deboli, tesa nei momenti di bisogno da quelli che stavano intorno, un senso
di condivisione e messa in comune delle proprie vite che mi resta come una sensazione,
l’opposto di quel senso di quotidiana solitudine che, credo, sperimentiamo
tutti nei nostri quartieri di oggi.
E Luca.
Difficile raccontare Luca attraverso il
ricordo di una bambina, ma me ne hanno parlato così tanto, così spesso, i miei
genitori che l’ho sempre vissuto come uno di famiglia, di quella famiglia larga
in cui vivevamo immersi, la famiglia come l’insieme delle relazioni, degli
affetti, dei volti e dei gesti che definiscono il perimetro di quello che sei.
Era “il piccolo” nel gruppo dei miei, loro
già alle soglie dei quaranta, lui ventenne, generoso, sognatore, critico,
curioso. Militante di Democrazia Proletaria e insieme tanto altro,
obiettore di coscienza in anni in cui questa era un’opzione impegnativa, di
rivendicazione delle proprie scelte non violente, impegnato nelle lotte
studentesche, amava la musica punk, il Nicaragua, l’Irlanda del Nord, dedicava
il suo tempo ai ragazzi portatori di handicap…Luca era parte viva e pulsante di
quel tessuto sociale e politico che rendeva la Bovisa un posto in cui, pure con
tutte le sue contraddizioni, era bello stare.
Troppo difficile. E supponente da parte mia
cercare di descrivere l’umanità splendida e complessa dietro a quella foto del
ragazzo biondo con la kefiah che ha accompagnato il suo ricordo in tutti questi
anni.
Ma cosa è successo, come è morto Luca?
Nei giorni successivi a quel 23 Febbraio,
insieme ai presìdi, alla manifestazione di 10mila studenti del 26 febbraio, al
funerale sotto la neve, insieme al dolore e alla rabbia, gli amici e la
famiglia di Luca hanno cercato di capire e restituire pubblicamente che cosa
era davvero successo.
La prima ricostruzione confusa e contraddittoria
della questura dice che l’agente Pellegrino Pollicino, 27 anni, da 3 mesi in
servizio alla Digos, stava andando a comprare un gelato per la figlia. In
piazza Lugano interviene per sedare una rissa fra automobilisti, lo picchiano e
tentano di investirlo, spara, un colpo in aria e uno alle gomme. Dall’altra
parte della piazza Luca sta correndo per prendere la 91 che arriva. Cade a
terra. Morirà alle tre e mezza all’ospedale Niguarda. “Fatalità dannata”
commenta Achille Serra, capo della mobile.
“L’unica fatalità – dice Daniela dalle
colonne del Manifesto – è nel fatto che mio fratello passava di lì in quel
momento. Ma, sempre per caso, ha incrociato un proiettile che qualcuno era
legittimato da una legge, la Legge Reale, a esplodere. Qualcuno che poteva, a
quell’ora, uscire di casa armato e usare l’arma, sicuro che non gli sarebbe
successo niente”.
Col tempo la ricostruzione della questura si
è rivelata falsa, ma non c’è da stupirsi. Fino al punto che Repubblica
(Repubblica!) il 2 marzo titola “Ha sparato senza ragione mirando ad altezza
d’uomo”.
Ci si domanda perché per comprare un gelato
l’agente fosse uscito di casa armato, perché si trovasse in una piazza dove di
gelaterie proprio non ce ne sono, neanche nei dintorni. E si chiarisce che ha
sparato verso l’auto che si stava allontanando, mettendosi in posizione di
tiro, e ad altezza d’uomo; infatti il cerchio di gesso che segna il punto in
cui il proiettile è rimbalzato sul palo è a un metro e ottanta dal terra. Non
cercavano di investirlo quindi, e non ha sparato in aria né alle gomme.
La storia giudiziaria vede una prima
condanna a 8 mesi per omicidio colposo accidentale, trasformata poi in una
condanna definitiva a 2 anni per omicidio colposo aggravato.
La grande forza della famiglia, degli amici,
dei compagni di Luca è stata da subito quella di non rassegnarsi alla rabbia e
al dolore, di voler ricordare Luca per la sua voglia di cambiare il mondo, per
la sua gioia, per il suo impegno.
L’associazione Luca Rossi si è impegnata
negli anni non solo per l’abolizione della Legge Reale e in generale contro la
logica della “Legislazione d’emergenza” che riduce l’espressione del conflitto
sociale a un male da estirpare dalla società attraverso leggi e apparati
repressivi che limitano diritti e garanzie, ma anche contro le logiche di
sopraffazione e violenza, per la valorizzazione delle diversità, “per
l’educazione alla pace e all’amicizia tra i popoli”, con un’attenzione
particolare ai giovani e al mondo della scuola, producendo importanti ricerche,
studi, iniziative di formazione e di solidarietà.
Ogni anno, il 23 Febbraio, dedico a Luca un
pensiero silenzioso, un ricordo tutto mio di come tutti i racconti che i miei
mi hanno fatto di lui, del suo entusiasmo, della sua generosità, siano una
ragione importante della mia militanza politica, del mio impegno sociale, di
quello che sono.
A noi, a chi continua a riconoscersi nel suo
volto e nella sua kefiah, a chi ritrova nel suo sguardo dai manifesti la
propria sete di giustizia sociale, Luca lascia oggi la responsabilità di
continuare a lottare con gioia per cambiare il mondo, perché, come scriveva lui
“il mare più bello è quello che dobbiamo ancora attraversare, i figli più belli
sono quelli che non abbiamo ancora fatto”.
Ciao Luca.
Di
Teo_Mim, Pubblicato il 23 febbraio 2015 alle 09:59
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