Pubblicato il 4 mag 2016
di Luigi
Ferrajoli -
Dobbiamo decidere non
tanto se vogliamo la Costituzione del ’48 a causa del suo prestigio e del suo
valore simbolico, ma dobbiamo decidere tra democrazia
parlamentare e sistema sostanzialmente autocratico, monocratico, che non è una
questione di forma
Questo referendum sarà un referendum sulla democrazia, un referendum sul carattere tendenzialmente
autocratico, oppure democratico e pluralista della democrazia costituzionale.
La Costituzione che è stata proposta e già votata più volte alle Camere, è
un’altra Costituzione. Per il metodo con cui è stata approvata è un oltraggio
non tanto e non solo alla Costituzione del ’48, ma al costituzionalismo in
quanto tale, cioè all’idea stessa di Costituzione.
Le
Costituzioni rigide sono nate nel secondo dopoguerra per unire, ma soprattutto
sono nate come limiti e come vincoli ai poteri di maggioranza. Questa è la
grande novità.
Le Costituzioni
dopo le tragedie del fascismo, del nazismo, dei totalitarismi nascono come «mai più»: mai più l’onnipotenza di
qualunque potere costituito, anche se di maggioranza; esse nascono come sistema
di limiti, di vincoli, di regole ai poteri, a qualunque potere.
La
Costituzione di Renzi si caratterizza, sin dal metodo, come una Costituzione
non di maggioranza ma di minoranza.
Grazie a una
legge dichiarata incostituzionale, il porcellum,
un partito che aveva il 25% non degli elettori ma dei votanti, ha preso la
maggioranza assoluta; e in questo 25% che equivarrà ad un 15% della
popolazione, la maggioranza è costituita da meno della metà perché molti sono
diventati “governativi” a seguito del cambiamento di equilibri interni al
partito, quindi abbiamo un’infima minoranza a sostegno di questa riforma che è
stata approvata – anzi, è stata imposta – attraverso operazioni veramente
scandalose: la fiducia, il taglio di emendamenti, forme di Aventino fino
all’ultima gravissima deformazione consistente nel carattere plebiscitario che
si vorrebbe imporre al referendum come referendum NON sulla Costituzione ma su Renzi.
Ma se c’è una
questione che non ha niente a che fare con le funzioni di Governo è
precisamente la Costituzione. Già questo, qualunque cosa dica la nuova
Costituzione, è un fattore di discredito della nuova Carta.
Noi abbiamo
una Costituzione che è nata dall’antifascismo, dalla Liberazione, votata
praticamente quasi all’unanimità da partiti che avevano combattuto il fascismo;
quindi anche sul piano simbolico essa ha un enorme valore aggregante e
democratico.
L’oltraggio
al costituzionalismo e alla Costituzione come momento storico di rottura avrà
come risultato l’instaurazione di una Costituzione di minoranza, una
Costituzione regressiva, una Costituzione che non ha più il prestigio, il
valore che deve avere la Costituzione in un sistema democratico.
Del resto
questo declino è accompagnato e segnalato dalle innumerevoli violazioni
costituzionali che si sono sviluppate in questi anni anche nella procedura di
riforma o revisione costituzionale; esse sono il sintomo di un generale declino
della Costituzione e dei principi costituzionali dall’orizzonte della politica.
E questo vale soprattutto per quel che riguarda i contenuti.
In questi
anni è stato smantellato lo Stato sociale, è stato distrutto il diritto del
lavoro – i lavoratori non hanno più diritti, il lavoro è diventato precario –
la sanità non è più una sanità universalistica e gratuita perché è diventata
una sanità monetizzata che pesa sulle spalle soprattutto dei più poveri, con
tempi lunghissimi di prestazione che rendono di fatto incurabile gran parte delle
malattie dei più poveri, che rinunciano alle cure.
Si parla
sempre del PIL come fattore e misura della crescita e del progresso, si parla
dello 0,7, 0,8 per cento: però contemporaneamente per la prima volta nella
storia recente, abbiamo avuto una riduzione delle aspettative di vita; le
aspettative di vita si sono ridotte, credo, di sei mesi, per effetto di un
crollo delle garanzie della salute.
Le
controriforme che sono state fatte sia nell’epoca berlusconiana che adesso,
sono un’aggressione: un’aggressione alla scuola, un’aggressione alle pensioni,
ai diritti di sussistenza, per il motivo che costano troppo; ma dobbiamo essere
consapevoli che costa molto di più la mancata garanzia di questi diritti, le
cui tutele sono il primo investimento produttivo; l’Italia è diventata più
ricca rispetto al suo passato, e in generale l’Europa rispetto agli altri
Paesi, perché hanno garantito i minimi vitali, l’istruzione, la salute, in
assenza dei quali non c’è produttività individuale e non c’è chiaramente
crescita economica e produttività collettiva.
Unità tra prima e seconda parte della Costituzione
Uno degli
argomenti che viene proposto a sostegno di questa riforma costituzionale è che
essa riguarderebbe soltanto la parte organizzativa e non inciderebbe sulla
prima parte.
Questa è una
falsità, perché le due parti sono fortemente connesse e perché la parte
“organizzativa” mette insieme strumenti istituzioni e tecniche di garanzia
idonei ad assicurare l’attuazione dei principi della prima parte, in
particolare, l’uguaglianza, i diritti fondamentali, i diritti sociali. Io credo
che per capire il nesso che esiste tra la prima e la seconda parte della
Costituzione e quindi gli effetti che la modifica della seconda parte avrà
sulla prima parte, basti prendere in parola quello che dice il Governo, e lo
stesso presidente Renzi: «ce lo chiede l’Europa». L’Europa ci chiede queste
riforme. Questa è una frase che a prima vista può sembrare senza senso. Che
senso ha, che vuol dire che l’Europa è interessata all’abolizione del Senato
oppure alla riforma della legge elettorale? Sembra soltanto una mistificazione,
ma purtroppo è vero. Ce lo chiede l’Europa, cioè ce lo chiedono i mercati,
perché l’obiettivo di questa riforma è un obiettivo perseguito da tanti anni,
dalla riforma di Berlusconi, dalla riforma di Craxi: è la governabilità.
Che cosa vuol
dire governabilità? Nel lessico dei nostri governi, non soltanto in Italia,
governabilità vuol direonnipotenza dell’esecutivo rispetto
al Parlamento e ovviamente rispetto alla società.
Vuol dire
mani libere, possibilità di aggredire lo Stato sociale, possibilità di
aggredire la scuola, aggredire la sanità, sulla base unicamente di un consenso
senza alternative: perché ci si presenta alle elezioni, e certamente non ci
sarà più la quantità di voti del passato, ci sarà una crescita
dell’astensionismo, perché è crollata la qualità del voto, non si vota per
convinzione ma solo per paura del peggio; si ha disprezzo, disgusto, si vota
per il meno peggio, e tuttavia questo è il consenso, è la fonte di
legittimazione veicolata da una riduzione della politica a spettacolo che
richiede NON, come vorrebbe l’articolo 49, il concorso dei cittadini nel
determinare la politica nazionale, ma semplicemente il consenso degli
spettatori al meno peggio. Al meno peggio significa che tutti devono
assomigliarsi, perché non ci sono alternative, perché la politica dei mercati è
una sola, la politica si sta trasformando in tecnocrazia, in modo tale che non
si spiega perché ci debba essere un ceto politico di un milione di persone che
evidentemente è diventato totalmente parassitario perché deve soltanto eseguire
i dettami dei mercati.
Onnipotenza e impotenza della politica
Ebbene questa
onnipotenza è ciò che si richiede alla politica perché la politica possa essere
impotente nei confronti dei mercati, subalterna nei confronti dell’economia,
perché per l’appunto si trasformi in tecnocrazia, perché abdichi al proprio
ruolo di governo della finanza, dell’economia, perché possa obbedire alle
ingiunzioni, fare i compiti a casa, unicamente mediante la riduzione dello
Stato sociale; non certamente mediante la crescita della progressività delle
imposte, non certamente applicando imposte del 70/90% a redditi ultramilionari,
non certamente attuando norme costituzionali sulla redistribuzione della
ricchezza, non certamente facendo ciò che la politica, secondo la Costituzione,
deve fare.
Si deve
semplicemente eseguire, ottemperare. I Governi di destra e i Governi di
sinistra sono in questo senso uguali, tant’è vero che gli scontri sono di
carattere personale, sono caratterizzati dagli insulti reciproci più che dai
diversi programmi e nel dibattito politico ciò che non viene mai messo in
questione è il sistema di limiti e di vincoli ai poteri economici e ai poteri
della finanza, che dovrebbero essere governati dalla politica.
Questo
governo della politica fa parte del costituzionalismo profondo dello Stato
moderno che nasce come sfera pubblica separata in grado di governare
l’economia, che altrimenti sarebbe guidata naturalmente dagli istinti
predatori.
I diritti
politici, infatti, così come i diritti civili, i diritti di iniziativa
economica, i diritti di iniziativa privata, sono diritti esercitati in funzione
degli interessi personali; ciò fa parte della logica del capitalismo, non
possiamo pretendere che il capitalismo abbia una logica diversa, per questo è
necessaria la politica, è necessario redistribuire la ricchezza, per limitare
il carattere predatorio attraverso un conflitto sociale che è stato un fattore
di civilizzazione. Lo smantellamento di tutto questo è possibile solo se prima
di tutto si disarma la società, e cioè si smobilitano i partiti, e i cittadini
sono ridotti a spettatori davanti alle televisioni a guardare gli scontri fra i
politici, che naturalmente si scontrano su questioni marginali.
Ciò che viene
perseguito è prima di tutto la neutralizzazione del controllo dal basso, del
radicamento sociale, e in secondo luogo la neutralizzazioni dei limiti e dei
vincoli dall’alto, e cioè da parte delle Costituzioni, perché le Costituzioni
sono ormai scomparse dall’orizzonte della politica.
Nessuno,
infatti, grida più all’incostituzionalità di fronte ai ticket e alla
monetizzazione dei diritti fondamentali in materia di salute, che si
distinguono dai diritti patrimoniali perché sono per l’appunto gratuiti,
universali; sono la base dell’uguaglianza, dovrebbero essere garantiti a tutti
nella stessa maniera, non ci dovrebbero essere differenze in materia di sanità.
Naturalmente la cosa costa, ma non è neanche un costo troppo grave, se si pensa
che su centodieci miliardi – queste sono le statistiche che abbiamo avuto modo
di leggere sulla spesa pubblica in materia di sanità – tutti i ticket con tutto l’apparato burocratico che
comportano, producono un introito di tre miliardi, cioè praticamente una parte
irrilevante della spesa. Una spesa però che pesa interamente sulle spalle delle
persone più povere e produce un’enorme mediazione burocratica che rende spesso
ineffettivi i tempi delle cure; i tempi sono ormai diventati praticamente un
fattore di crollo di una delle sanità pubbliche più avanzate del mondo.
Lo stesso
fenomeno si sta verificando in Inghilterra, si sta verificando in Europa:
stiamo assistendo ad un crollo delle nostre democrazie legato precisamente a
questa involuzione autocratica.
Essa merita
di essere chiamata così, perché il meccanismo che è stato introdotto attraverso
la congiunzione della riforma costituzionale e della legge elettorale consegna
il potere politico a una minoranza parlamentare di fatto fortemente vincolata
al capo del Governo; è un fatto che già in parte è avvenuto tant’è vero che
questa riforma costituzionale è una costituzionalizzazione dell’esistente,
perché già oggi tra decreti legge, leggi delegate, leggi di iniziativa
governativa, la produzione legislativa è per il 90% di produzione governativa.
Già oggi noi abbiamo avuto un Parlamento esautorato, ma con queste riforme il
Parlamento non conterà più niente, sarà per l’appunto una maggioranza di
parlamentari, fortemente vincolati da chi deciderà della loro successiva
elezione, a causa anche della disarticolazione sociale dei partiti, della loro
neutralizzazione come fonti di legittimazione titolari delle funzioni di
indirizzo politico, di controllo e di responsabilizzazione.
Il risultato
quindi è un’involuzione autocratica, ed è su questo che
dobbiamo decidere. Dobbiamo decidere NON tanto se vogliamo la Costituzione
del ’48 a causa del suo prestigio e del suo valore simbolico, ma dobbiamo
decidere tra democrazia parlamentare e sistema sostanzialmente autocratico,
monocratico, che non è una questione di forma: questa forma è funzionale a una governabilità
indirizzata a dare mani libere in materia soprattutto di diritti sociali, di
diritti fondamentali di uguaglianza. Del resto la crescita della disuguaglianza
è un fatto sotto gli occhi di tutti che viene incoraggiato dalle politiche
governative non solo in Italia.
Il nostro
voto è una scelta o a favore della democrazia pluralistica costituzionale oppure a favore di un’involuzione
personalistica, verticalistica e autocratica del sistema politico.
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*Intervento
alla Conferenza per il NO del 21 marzo 2016
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