giovedì 1 ottobre 2015

Lombardia. O si bella e perduta. Ovvero del consumo di suolo e della scelleratezza amministrativa regionale lombarda. di Francesco (Coco) Macario

Il Centro di Ricerca sui Consumi di Suolo, ha denunciato una situazione in Lombardia particolarmente allarmante: dal 1999 al 2012 sono stati urbanizzati 44.776 ettari e si sono persi in maniera definitiva 60.290 ettari di superfici agricole. In meno di 15 anni le aree antropizzate sono passate dal 12,6% al 14,5%.
La Lombardia è una delle regioni più urbanizzate e cementificate d’Europa.
Negli ultimi anni il suolo è stato consumato al ritmo di 90.000 metri quadrati al giorno (l’equivalente di circa 9 campi di calcio), per un totale di più di 3.000 ettari l’anno coperti da cemento ed asfalto, distrutti dall’edilizia residenziale e commerciale, da strade, impianti industriali, centri commerciali e capannoni: terra che non tornerà più, poiché è quasi impossibile che un terreno edificato possa tornare fertile.
Un dato spaventoso se pensiamo che il prof. Andrea Filpa dell’università di Roma Tre ha recentemente dichiarato che solo le aree industriali dismesse in Italia coprono una superficie di 130 milioni di metri quadrati.

Legge sul consumo di suolo in Lombardia

Il 1 dicembre 2014 la Regione Lombardia ha approvato, con grande risalto mediatico, la nuova legge sulla riduzione del consumo di suolo (l.r. n. 31 del 2014)
La discussione sulla riduzione del consumo di suolo in Lombardia ha una lunga storia e ha interessato ben tre legislature regionali. Si è partiti dal primo provvedimento progetto di legge di iniziativa popolare per il contenimento del consumo di suolo (proposto dai movimenti e associazioni ambientaliste), sino a diverse iniziative legislative elaborate da gruppi consiliari di maggioranza e opposizione, per giungere a una importante modifica intervenuta sulla legge regionale n. 31/2008 con cui si è riconosciuto il suolo agricolo come bene comune, per arrivare alla formulazione del PdL 140, nella sua prima versione, approvata dalla Giunta Regionale, testo criticabile, ma sostanzialmente positivo.
Poi nel 2014, incredibilmente, è stato approvato del centrodestra Lombardo il PdL 140 voluto dall’assessore leghista Belotti, che propone disposizioni normative che, al di là delle finalità retoriche dichiarate, di fatto non rendono praticabile alcune politica né di limitazione efficace dei processi di consumo di suolo, ancora assai intensi (malgrado la crisi del settore edilizio), né di indirizzo degli strumenti urbanistici verso politiche sostenibili di riqualificazione e rigenerazione urbana.
La versione definitiva del PdL 140, varata con grave ritardo dalla maggioranza di centrodestra quando ormai la tensione speculativa era già fortemente ridotta dalla crisi del settore edilizio, appare infatti addirittura peggiorativa del quadro legislativo vigente.  Nella norma approvata non vi è infatti alcuno strumento o leva disincentivante che risulti utile e coerente con la finalità di limitare il consumo di suolo, mentre appare evidente che l’intento del testo, contrariamente al titolo, sia quello di accelerare e favorire, anche con incentivi, l’attuazione delle previsioni dei piani comunali che già molte analisi hanno evidenziato come abnormi.
La proposta di legge appare molto deficitaria già a partire dalla componente definitoria (art. 2). Vi si torna a considerare come “Superficie agricola – SA” (la sola di cui ci si preoccupa di limitare la trasformazione antropica, trascurando i processi di urbanizzazione di tutti gli altri suoli liberi naturali) non quei terreni effettivamente utilizzati per attività agricole nella situazione “di fatto”, ma le sole aree come tali disciplinate dal Piano di Governo del Territorio vigente. Mentre tutti quei terreni liberi che, per quanto ancora naturali o utilizzati per attività agricole, vengono destinati dal PGT ad una futura trasformazione urbana vengono considerati come suoli “già urbanizzati”, come statuito dalla definizione della “Superficie urbanizzata e urbanizzabile – SU”, senza che ciò venga contabilizzato nel monitoraggio del consumo di suolo.
Si stabilisce poi che il “Bilancio Ecologico del Suolo – BES”, attraverso cui si pretenderebbe di misurare il saldo effettivo del consumo di suolo, venga determinato come differenza tra la superficie agricola (come sopra definita) trasformata per la prima volta verso usi urbani e la Superficie urbana e urbanizzabile (SU) che il PGT ridestina ad usi agricoli. Dunque non solo i suoli urbanizzabili (anche se di fatto agricoli) non vengono considerati nella contabilità del consumo di suolo (come fossero suoli già urbani), ma è sufficiente una semplice previsione di PGT che “azzona” un suolo urbano (dismesso o sottoutilizzato che sia) come agricolo per renderlo computabile nel saldo del consumo di suolo come area già agricola, non considerando che la complessità e spesso l’impraticabilità  dei processi di rimpermeabilizzazione dei suoli urbani difficilmente renderanno attuabile quella previsione.
Una norma transitoria chiede ai comuni di adeguare i PGT alle disposizioni della legge stessa, ma solo alla prima scadenza del Documento di Piano successiva all’adeguamento degli strumenti sovraordinati.  Poi però consente l’approvazione, secondo la normativa previgente, di piani attuativi conformi ai PGT già in essere, nonché di piani attuativi in variante ai medesimi strumenti, sempre che la relativa istanza sia stata presentata entro 30 mesi dall’entrata in vigore della legge. Cioè la legge sollecita, al posto di limitare, l’attuazione delle possibilità edificatorie latenti nei piani.
In sostanza mentre in altri paesi europei l’obbligo al riuso di quote rilevanti del patrimonio esistente non utilizzato viene stabilita come “condicio sine qua non” senza prevedere alcuna nuova espansione, il testo di legge lombardo stabilisce che sia una valutazione tecnico economica il criterio cui subordinare e verificare l’eventuale necessità di nuove aree urbane di espansione. L’unico condizionamento alla ammissibilità di nuove previsioni urbanizzative sta invece nell’attuazione accellerata di tutte le previsioni di espansione e trasformazione vigenti all’entrata in vigore della legge. Ciò significa che si potranno consumare nuovi suoli solo quando avremo consumato totalmente quelli già previsti come edificabili nei PGT ad oggi approvati, nella speranza di determinare per questa via un potente incentivo alla edificazione anche in presenza di fattori economici negativi. Potenzialità edificatorie quelle contenute nei nuovi PGT (non solo negli Ambiti di Trasformazione AT del Documento di Piano, ma anche negli ambiti di completamento e di espansione “nascosti” nei Piani delle Regole) preoccupanti, apparentemente indifferenti alle attuali condizioni di crisi profonda del settore edilizio: le aree libere che potrebbero essere coinvolte in processi di urbanizzazione è stato calcolato che superano ampiamente i 55.000 ettari.
In altre parole la legge dice che se si consuma tutto quanto previsto nei piani (e in fretta), si potrà consumare ancora, tenendo conto che chi non realizza le previsioni entro determinati limiti temporali può perdere i diritti edificatori acquisiti.
La legge infatti, non casualmente rinuncia a rafforzare uno dei dispositivi più importanti contenuti nella legge regionale 12/2005, l’art. 43, comma 2bis, che prevedeva un incremento del costo di costruzione (fino ad un massimo del 5%) nel caso di urbanizzazione dei suoli “di fatto” agricoli. Un dispositivo che timidamente anticipava un’auspicabile e più robusta applicazione della fiscalità locale come strumento per ridurre le assai elevate convenienze economiche determinate dalla rendita urbana nella trasformazione dei suoli agricoli. Nella legge Lombarda, per quanto si fissa al 5% l’incremento obbligatorio del costo di costruzione, si elimina la specificazione che tale contributo venga applicato ai suoli agricoli “di fatto” rendendo in tal modo implicito che verrà richiesto solo nella trasformazione urbana di suoli a destinazione agricola nel piano (e cioè evidentemente mai, salvo varianti).
Inoltre la priorità teoricamente attribuita dalla legge regionale alle azioni di riuso e di rigenerazione urbana pare quanto mai aleatoria nelle disposizioni normative del progetto di legge (art.2, comma 3), laddove si prevede che i PGT potranno comunque prevedere nuove aree urbanizzabili qualora venga dimostrata l’impossibilità, tecnica ed economica, di riqualificare aree già edificate (dismesse o degradate). E’ evidente la debolezza prescrittiva di un tale disposto (cui non sono tra l’altro connessi dettami sanzionatori in caso di trasgressione della prescrizione). Non si capisce come le amministrazioni e gli uffici comunali possano concretamente verificare ex ante la praticabilità economica e tecnica di tutti gli  interventi di recupero, riuso e rigenerazione, che dipendono in prevalenza dall’intervento e dalle convenienze private. E’ plausibile se non inevitabile che tale situazione costituirà un alibi cui si appelleranno molte amministrazioni per giustificare la scelta, più semplice e conveniente, di rispondere a eventuali bisogni insediativi ancora attraverso nuove previsioni urbanizzative di suoli liberi (agricoli e naturali).
Infine la legge conferma, secondo un’impostazione inaccettabile nel momento in cui ci si pone concretamente l’obiettivo di valutare e mitigare gli impatti determinati dalle trasformazioni antropiche sulle capacità ecosistemiche e multi funzionali dei suoli (ecologiche, ambientali, produttive, etc), la possibilità di escludere alcune categorie di interventi pubblici o di interesse pubblico dalla contabilità del consumo di suolo; come se il valore sociale di una scuola o di un servizio collettivo annullasse l’impatto della trasformazione del suolo e non rendesse comunque necessari adeguati interventi di compensazione o di mitigazione.
In sostanza, mentre in altri paesi si stanno mettendo in campo politiche di contenimento dei processi urbanizzativi, la legge lombarda si limita a prefigurare l’applicazione di un controllo puramente quantitativo del consumo di suolo (la soglie comunali di consumo di suolo ripropongono le stesse logiche di contingentamento quantitativo dei suoli urbanizzabili applicati senza grandi risultati nello scorso decennio dai PTC provinciali).
Possiamo quindi osservare che nell’attuale congiuntura di crisi che investe prioritariamente il settore delle costruzioni, la  legge regionale non coglie il lato strutturale della crisi di produzione edilizia, che presuppone interventi volti a orientare la produzione e a favorire l’incontro tra domanda e offerta, puntando sulle qualità intrinseche e prestazionali degli edifici e sul rapporto tra prezzi, localizzazione e capienza effettiva del mercato. A tutti gli operatori risulta chiarissimo che la risposta al forte rallentamento in questo settore può solo derivare da adeguate politiche urbane, di riattivazione economica e funzionale dello spazio già costruito, e da una capacità del comparto di darsi una strategia industriale per quanto riguarda la performance produttiva e l’orientamento al mercato e alla segmentazione della compagine di domanda.
La legge lombarda, invece, si attesta su una visione di un comparto edilizio ancillare al settore finanziario-speculativo, privo di dinamiche interne differenti da quelle delle strategie di investimento di capitali erratici di una finanza che oggi è, invece, in avanzato stato di disarmo dopo i fallimenti del mercato speculativo che ha prodotto la bolla dei primi anni 2000.
In sostanza si può dire che si tratta di una legge che tenta di soffiare sulle ceneri spente di una vicenda speculativo-immobiliare che ha largamente chiuso il suo ciclo estremamente dannoso, prima di tutto per l’ambiente, la sicurezza idrogeologica del territorio, la biodiversità e la conduzione agricola delle terre di Lombardia.

Tutto questo ha un costo

E’ risaputo: la speculazione immobiliare non produce sviluppo durevole, ma solo accaparramento di rendite. Negli anni in cui in Lombardia si è costruito di più non è cresciuto il benessere dei lombardi.  E se guardiamo fuori dai nostri confini la situazione è anche peggiore: la speculazione finanziaria, legata al mercato immobiliare gonfiato, è stata una delle principali cause dell’attuale crisi economica globale!
Inoltre grazie alle spinte secessionistiche di Bossi e alla prima (scellerata) legge Bassanini del 1997  sul federalismo amministrativo le tasse locali, e in particolare gli oneri d’urbanizzazione, sono aumentati del 200% (contro un aumento delle tasse nazionali del 35/36%), consegnando alle amministrazioni locali il controllo di un’entrata concreta alternativa alle sempre più ridotte rimesse nazionali. Questo fattore è stato negli ultimi decenni uno dei fattori determinanti (in particolare in Lombardia e Veneto) nella crescita esponenziale del consumo di suolo.
Oggi, anche il governo Renzi ci sta mettendo del suo, con lo Sblocca Italia e con la Legge di Stabilità verrà consentito ai comuni di potere impegnare ancora, cancellando i divieti introdotti negli ultimi anni, i proventi degli oneri di urbanizzazione a copertura della spesa corrente. Un atto criminale e, vista la crisi del settore, al contempo irrealistico.
Vale qui la considerazione fatta dal ministro dell’agricoltura del governo Monti: Mario Catania (certo non un “corvo” comunista). Catania ha dichiarato che secondo lui i “benefici della cementificazione sono a breve termine, mentre che crea si riverseranno ampliandosi sulle generazioni a venire, bruciando il nostro patrimonio territoriale con una politica profondamente miope e inefficace”.
E’ grazie a queste scelte scellerate nella nostra regione abbiamo assistito ad una crescita disordinata e ‘sparpagliata’ degli insediamenti, con gravi conseguenze ambientali e sociali: in primo luogo la perdita di qualità della vita, perché i centri storici si sono svuotati e le periferie sono diventate sempre più estese ed anonime, distanti da servizi e funzioni commerciali, dipendenti da un costoso e inquinante uso dell’automobile. E nel frattempo sono andati perduti preziosi terreni, a danno dell’agricoltura, attività economica che ha da sempre generato un grande valore in Lombardia.
E siccome (come le cronache ci rammentano ad ogni cambio di stagione) queste scelte politiche hanno conseguenze concrete gravissime sulla stabilità dei territori e sulla vita dei cittadini, determinando al contempo costi e danni per tutti i settori produttivi già in crisi, forse è bene che comprendiamo che non solo un’altra Lombardia è possibile, ma è assolutamente nec

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