lunedì 20 marzo 2017

in ricordo di Ilaria Alpi

“Le donne non dovevano imparare né a leggere né a scrivere, se non per diventar monache, perché dal leggere e dallo scrivere delle donne molti mali sono venuti”
Filippo da Novara [1200 sec.]

ILARIA ALPI

di Rosella Blumetti e Angela Portosi
Mi chiamo Ilaria Alpi e sono nata a Roma il 24 maggio 1961.
Sono una giornalista. Anzi, lo ero. Sono stata assassinata il 20 marzo 1994.
Uccisa da un proiettile a Mogadiscio, in Somalia. Avevo solo 33 anni.
Amavo fare la giornalista, come già altre donne lo avevano fatto prima di me.

Ma io ho un triste primato, sono stata assassinata, e ancora in attesa di giustizia.
Pensavo ad Oriana Fallaci. Lei seguiva guerre e conflitti, si metteva l’elmetto e saliva sugli
elicotteri. C’era solo lei e per questo, da ragazzine, era il nostro mito.
Sognavo di fare la giornalista. Volevo fare reportage che illustrassero la verità, spiegare e far capire altri mondi, altre culture. Era una missione che facevo con studio, impegno, passione.
Ero una tipa acqua e sapone, portavo scarpe basse, vestiti comodi, le tasche piene di taccuini.
E con le tasche piene di taccuini giunsi in Somalia per la prima volta nel dicembre 1992, come inviata del TG3, per seguire la missione di pace Restore Hope, coordinata dalle Nazioni Unite.
Avevo già fatto diverse inchieste, ma adesso avevo in mano “cose molto grosse” !
Avevo scoperto un traffico internazionale di armi e tangenti in cambio dello smaltimento di rifiuti tossici, prodotti da noi, Paesi industrializzati, e … civili ! Traffico in cui sembrava essere coinvolta la Cooperazione Internazionale, con la complicità dei servizi segreti italiani.
A novembre era stato ucciso, sempre in Somalia ed in circostanze misteriose, un sottufficiale del SISMI, mio informatore. Preoccupata, indagavo insieme a Miran Hrovatin che mi seguiva ovunque, con la sua inseparabile telecamera.
Volevamo far sapere al mondo intero cosa avevamo scoperto.
Ma ci fermarono quel maledetto 20 marzo 1994.
Poco prima che ci ammazzassero, avevo chiamato i miei genitori per avvisarli che saremmo andatiin onda la sera alle 19 con il nostro servizio. Nessuno poté vederlo. Ci uccisero, per zittirci.
Qualche giorno prima, avevamo intervistato il sultano Mussa Bagor, tre ore di intervista, sette
cassette registrate, taccuini zeppi… tutto sparito !
Al ritorno percorremmo la strada Garoe-Bosaso, una lunga autostrada nel deserto, utile forse solo ai cammelli, ma sotto alla quale FORSE sono stati nascosti i container pieni zeppi dei NOSTRI rifiuti tossici italiani, in cambio di armi per la sanguinosa guerra civile !
Perdemmo l’aereo. Ci concedemmo quindi una pausa al mare, a fare un bagno.
Miran tirò fuori la telecamera: “dai, così per una volta posso riprendere qualcosa di bello. Son stufo di riprendere sempre solo guerra, armi, veleno...” .
Arrivati a Mogadiscio, lasciammo il nostro hotel per andare ad un incontro, ma non arrivammo mai.
Ci tesero un agguato: un commando di sette persone ci aspettò per due ore. Ci spararono, ma sul posto non arrivarono i soccorsi, arrivò solo un faccendiere italiano, lo stesso che qualche sera prima mi suggerì di chiudermi in albergo perché avevano sentito dire che volevano farmi fuori...
Nessun soccorso, ed ero ancora viva. Morii poco dopo in ospedale. Non mi fecero l’autopsia, no, no non me la fecero mica! Un lungo elenco di inadempienze, coincidenze singolari, reticenze, bugie, omissioni, balletti di perizie, morti misteriose e – toh ! – la sparizione del mio lavoro di giornalista.
Dissero che si era trattato di un maldestro tentativo di rapimento o rapina … Anni dopo, per l’unico condannato, la sentenza del tribunale invece dichiarò “esecuzione premeditata e organizzata” ! I depistaggi iniziarono subito, sminuendo e falsando il nostro lavoro. Dissero perfino che eravamo lì in vacanza, a fare i bagni al mare!
Altro che vacanza, stavamo lavorando! E avevamo in mano “cose molto grosse”.
Anni dopo si scoprì che condannarono persino un innocente, verso il quale un falso testimone aveva puntato il dito. Si scoprì in seguito che lo aveva fatto per soldi e per ottenere un passaporto.
Dopo 10 anni dall'agguato assassino, venne fatta una Commissione parlamentare. Ma grande fu l'amarezza. Alla fine risultò non essere la sede dove si accertano le verità storiche, ma dove le si affossano! 10 anni senza verità! 20 anni senza verità! Ancora senza verità.
Mi hanno definita “una donna colta e coraggiosa, giornalista impegnata, piena di curiosità e energia, piena d’amore per il suo lavoro… e dotata, forse, anche di una buona dose di incoscienza”.
INCOSCIENZA ???
Io stavo lavorando secondo coscienza, in ASSOLUTA coscienza. Stavo solo facendo il mio lavoro di giornalista. Stavo seguendo una storia e volevo solo dire la verità.
Ma la verità non è ancora venuta a galla, i mandanti che ordinarono il mio omicidio non sono stati ancora trovati. Giustizia non è stata ancora fatta.
I miei genitori sono ormai distrutti da anni di dolore e di lotte per la verità. Mia madre non ha mai smesso di battersi come una leonessa perché si continuasse a investigare, perché le indagini facciano finalmente trionfare la verità. Non si è arresa mai, nonostante fosse stata perfino indagata ingiustamente per diffamazione e poi infatti assolta dal tribunale. E mio padre, sempre al suo fianco.
Io ho sempre avuto rispetto per le Istituzioni, anche quando ci hanno profondamente deluso.
Ma aspetto… aspetto e spero che presto la verità venga alla luce e liberi la morte di Miran e mia dalle falsità e dalle omissioni, che l'han resa vana e inutile. Giustizia venga fatta!
Nel 2014, una donna, la presidente della Camera Laura Boldrini, ha chiesto formalmente al governo che vengano “declassificati” gli atti dei servizi segreti riguardanti il mio caso. Noi, aspettiamo.
Scrivete, amiche, scrivete, e non smettete mai di ricercare e raccontare la verità!
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Questa storia è stata liberamente ispirata dal libro “Ilaria Alpi. Il prezzo della verità” di Marco Rizzo e Francesco
Ripoli, Ed. Becco Giallo, 2015. Libro che fa parte della mostra 1,10,100 agende rosse … quale democrazia? -
organizzata dal Gruppo Agende Rosse Peppino Impastato di Milano e dintorni.
Appositamente scritta a quattro mani da Rosella Blumetti e Angela Portosi, in occasione della festa di compleanno
dell'associazione VentunesimoDonna Corsico, tenutasi il 17 marzo 2017 al BemViver di Corsico, e letto per la prima
volta da Rosella Blumetti, durante il reading realizzato dalle socie di VentunesimoDonna Corsico, per tener viva la
memoria e far conoscere alcune donne speciali - prendendo liberamente spunto dal libro “Le Mille. I primati delle
donne” a cura di Ester Rizzo, Associazione Toponomastica Femminile, Navarra editore, 2016.

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