venerdì 14 novembre 2014

Jobs Act, il Pd si riunisce sul bidone

Pubblicato il 14 nov 2014

L’accordo sulla delega cancella di fatto l’articolo 18, che resterà in piedi solo per sparutissimi casi. L’Ncd protesta lo stesso e minaccia di non votare il testo. Cgil: «La nostra mobilitazione va avanti». Ma il premier gongola: «Avremo la nuova legge già il primo gennaio». Restano però tante incognite: ad esempio, varrà soltanto per i nuovi assunti o per tutti?

La fac­ciata è salva: le baruffe chioz­zotte che divi­dono perio­di­ca­mente la mag­gio­ranza Pd (quella dei “cat­tivi” anti-sindacato) e la varie­gata mino­ranza (i “buoni” più vicini alle ragioni dei lavo­ra­tori) hanno par­to­rito il topo­lino. Si è tor­nati al testo appro­vato dalla dire­zione del par­tito del 29 set­tem­bre, quello che con­ce­deva gra­zio­sa­mente di rein­tro­durre tra i tute­lati dall’articolo 18 anche i licen­ziati per motivi disci­pli­nari, in aggiunta a quelli discri­mi­na­tori (ma que­sti ultimi non avreb­bero mai potuto essere can­cel­lati per­ché tute­lati dalla Costi­tu­zione e dalle carte euro­pee). Ma è un bidone, o – alla romana – una sòla.
Cer­che­remo di ana­liz­zare più avanti i tanti aspetti cri­tici della delega che viene fuori dall’accordo di ieri all’interno del Pd (e che evi­te­rebbe la fidu­cia, come spie­gano nel par­tito), ma intanto va segna­lato che i primi a pro­te­stare sono stati pro­prio gli alleati dell’Ncd, a dire dei quali la riforma in que­sto modo viene di fatto neu­tra­liz­zata. Tanto che in serata Nun­zia De Giro­lamo e Mau­ri­zio Sac­coni sono stati rice­vuti a Palazzo Chigi, dopo che ave­vano minac­ciato di non votare il testo. Allo stesso modo Sc, con Pie­tro Ichino, ha mostrato per­ples­sità. Dubbi di per­so­naggi che potreb­bero indurci a dire che la riforma adesso va bene: ma i miglio­ra­menti – che Mat­teo Renzi ha defi­nito «un gran­dis­simo passo avanti: ci faranno avere le nuove regole già l’1 gen­naio» – sono poca cosa.
A gui­darci nella disa­mina della riforma – almeno così come è annun­ciata, visto che per il momento non si ha un testo chiaro e defi­nito della delega, né tan­to­meno dei futuri decreti dele­gati – è il giu­sla­vo­ri­sta Pier­gio­vanni Alleva, avvo­cato del lavoro (ha difeso e difende tan­tis­simi licen­ziati) e per anni con­su­lente prima della Cgil e poi della Fiom.
Innan­zi­tutto va ricor­dato che l’accordo rela­tivo all’articolo 18 rag­giunto nella dire­zione del Pd il 29 set­tem­bre (130 favo­re­voli, 20 con­trari e 11 aste­nuti), sta­bi­liva, fatta ecce­zione appunto per la pos­si­bi­lità di rein­te­gro nel posto di lavoro anche per i licen­zia­menti disci­pli­nari, oltre che per quelli discri­mi­na­tori, «una disci­plina per i licen­zia­menti eco­no­mici che sosti­tui­sca l’incertezza e la discre­zio­na­lità di un pro­ce­di­mento giu­di­zia­rio con la chia­rezza di un inden­nizzo eco­no­mico certo e cre­scente con l’anzianità, abo­lendo la pos­si­bi­lità del rein­te­gro». In parole povere, si eli­mina del tutto la pos­si­bi­lità del rein­te­gro per i licen­zia­menti eco­no­mici indi­vi­duali e col­let­tivi, sosti­tuen­dola con un indennizzo.
«La riforma For­nero aveva già inde­bo­lito la tutela per i licen­zia­menti eco­no­mici indi­vi­duali e col­let­tivi – spiega Alleva – ma adesso pra­ti­ca­mente si libe­ra­liz­zano del tutto. E sono i casi che riguar­dano la mag­gior parte delle per­sone, anche per­ché ovvia­mente nes­sun datore di lavoro addurrà mai una moti­va­zione discri­mi­na­to­ria per licenziare».
E i disci­pli­nari? È un bene che siano stati rein­se­riti, no? «Biso­gna vedere come sarà scritto il testo: ma temo che si voglia andare a tute­lare solo alcune fat­ti­spe­cie, can­cel­lando ad esem­pio una pos­si­bi­lità di rein­te­gro che era rima­sta con la legge For­nero, quella in caso di “man­cata cor­ri­spon­denza alla pre­vi­sione con­trat­tuale”. Mi spiego con un esem­pio: se il con­tratto pre­vede solo una sospen­sione per assenze fino a 4 giorni, e il datore di lavoro invece ti licen­zia per un’assenza di 3 giorni, il giu­dice oggi può ordi­nare il rein­te­gro per­ché il con­tratto pre­vede già una san­zione minore, e quella dell’impresa è stata sproporzionata».
Insomma, in poche parole, si restringe sem­pre di più – o per­lo­meno rischia di restrin­gersi – il campo della tutela, anche per i disci­pli­nari. Fino a ridurre la garan­zia del rein­te­gro a spa­ru­tis­simi casi, pra­ti­ca­mente sol­tanto delle eccezioni.
E poi un altro pro­blema, mica di poco conto. Le nuove regole var­ranno solo per i nuovi assunti o per tutti? «Ora magari si dice solo per i nuovi assunti, o si resta sul vago – nota il giu­sla­vo­ri­sta Alleva – ma poi alla fine, come è andata con la stessa legge For­nero, all’improvviso inclu­de­ranno tutti. Senza con­tare che il nor­male turn over vede ogni anno l’8% dei lavo­ra­tori cam­biare con­tratto: il che signi­fica che in pochi anni, comun­que vada, la riforma toc­cherà la gran parte dei dipendenti».
Que­sto Jobs Act ver­sione edul­co­rata non piace nean­che alla Cgil, che ieri non ha com­men­tato i cor­ret­tivi aggiunti in corsa dal Pd, ma ha annun­ciato che, fidu­cia o no, «la mobi­li­ta­zione è avviata e va avanti». Anche per­ché, ha spie­gato Susanna Camusso, «dopo la fidu­cia alla delega ci sono i decreti dele­gati». Cri­tici Sel e M5S, che annun­ciano oppo­si­zione alla Camera: la pre­si­dente Laura Bol­drini ieri ha pro­po­sto che il voto finale si fac­cia il 26 novem­bre, e su que­sta data l’Aula si espri­merà il 17.
ANTONIO SCIOTTO
da il manifesto

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