Pubblicato il 22 nov 2014di Piergiovanni Alleva :: da il manifesto
Speravamo ancora, ma non ci siamo mai illusi,
che i parlamentari del Partito democratico — o almeno quelli di loro che
si proclamano di sinistra — stessero dalla parte dei lavoratori nella
delicatissima occasione della correzione del testo della Legge Delega sul
lavoro.
Hanno fatto, invece, tutto quanto potevano per cercare di sanare
l’illegittimità costituzionale del testo, che era un testo “in bianco” con
riguardo ai licenziamenti, prevedendo alcune linee guida che però sono
quanto di peggio i lavoratori potessero temere.
La tutela di reintegro in caso di
licenziamenti ingiusti è stata effettivamente eliminata dai contratti
di lavoro di nuova costituzione, di talché non si può neanche più parlare
di arretramento, ma solo di azzeramento della tutela. La rottura tra il
Partito democratico e i lavoratori è così consumata e, forse, è un bene.
E’ un bene che sia finito l’equivoco del Pd partito di sinistra o di
centro-sinistra e che sia emersa la semplice verità, che il Pd di Matteo Renzi
e del ministro Poletti è un partito di centro-destra filo padronale del tutto
sordo ai valori di dignità, di sicurezza e di tutela del lavoro.
Diventa urgente la costituzione di un nuovo
soggetto politico che dia rappresentanza al lavoro e, ci sono ormai tutte
le condizioni perché ciò avvenga come necessaria risposta al
peggioramento senza fine della condizione non solo economica ma anche di
dignità delle classi subalterne.
A queste considerazioni spinge proprio la
qualità dell’emendamento governativo al punto 7 lett. c) della Legge Delega
che l’ineffabile presidente della commissione Lavoro della Camera ha avuto
l’ardire di definire “buon compromesso” così meritando la reazione dei
lavoratori che scenderanno in sciopero generale il 12 dicembre, proprio
contro il Job Acts così modificato.
Ma vediamo con precisione quale è il nuovo
testo della Legge Delega, nel punto che qui interessa, perché un giudizio
politico così drastico deve essere spiegato e giustificato.
Vale la pena di riportare per intero il nuovo
testo del punto 7) lett. c) che ora così recita: «Previsioni per le nuove
assunzioni escludendo per i licenziamenti economici la possibilità
della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un
indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio
e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli
e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento
disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per
l’impugnazione del licenziamento».
Come si vede, la nuova previsione chiama alla
ribalta il mezzo o “trucco” assai semplice, almeno all’apparenza, per evitare
comunque il “pericolo” della reintegrazione. Etichettare ogni
licenziamento come licenziamento economico perché ciò dovrebbe
eliminare in radice ogni possibilità di sentenza di reintegra. Non è poi
chiaro che tipo di risarcimento economico conseguirebbe ad un
licenziamento economico che risulti, ad esempio pretestuoso. Si parla di
indennizzo certo e ciò sembrerebbe addurre all’impossibilità di adire la
magistratura per far accertare l’illegittimità e pretestuosità, con
obbligo di accontentarsi di un indennizzo forfettario ossia di una specie
di ulteriore “mini Tfr”.
Sarebbe però una previsione di
insindacabilità giudiziaria, comunque, contraria all’art. 30 della
Carta di Nizza recepita nel Trattato di Lisbona.
Dopo aver così rassicurato i datori di lavori
indicando una via ampia ed agevole del licenziamento economico, il testo
dell’emendamento prosegue concedendo da un lato la inutile previsione
della possibilità di reintergra per licenziamenti dovuti a motivi
discriminatori, quasi impossibili da comprovare, limitando la
possibilità di reintegra ad alcune fattispecie soltanto di
licenziamento disciplinare ingiustificato, che saranno stabilite
e descritte nei decreti attuativi.
Quest’ultima previsione è quanto mai
significativa del livello di inciviltà nel quale il Job Acts può far
precipitare il nostro ordinamento. Intanto, rinviare ai decreti attuativi
la determinazione di quelle fattispecie che darebbero luogo alla
reintegra significa che, nonostante tutto, la delega è ancora “in bianco”
perché la definizione della fattispecie è rimessa al totale arbitrio del
legislatore delegato.
Quel che si sente anticipare in proposito fa
letteralmente “rizzare i capelli in testa”: si sente dire che la reintegra
si avrebbe solo quando il lavoratore sia stato falsamente accusato di aver
commesso un reato e ciò significa che, ove fosse accusato ad esempio di
essersi insubordinato o di essersi assentato per più di quattro giorni o di
aver colposamente danneggiato gli strumenti di lavoro, ossia
i comportamenti illegittimi ma non costituenti reato, il licenziamento
resterebbe operativo nonostante la falsità dell’accusa, e questo crediamo
non sia davvero mai accaduto, che al reo venga erogata la pena più grave,
ossia la perdita del posto di lavoro nonostante la sua riconosciuta
innocenza.
Addirittura secondo alcuni dovrebbe trattarsi
solo dei reati perseguibili d’ufficio ed allora, davvero il giudice del
lavoro non avrebbe più nulla da fare perché tutto passerebbe di fatto alla
competenza del giudice penale.
Con chi è capace di concepire tali infamie e,
peggio ancora, con chi osa farle passare per valida mediazione non c’è
possibilità di dialogo. Occorre lo sciopero generale, occorre che il
progetto di Job Acts sia revocato e che le tutele dei lavoratori anziché
essere ridotte e annullate siano invece generalizzate perché tutti possano
fruirne. Naturalmente sono possibili anche valide resistenze in sede
giuridica visto che nel norme del Job Acts sono quanto mai rozze e quindi,
attaccabili in sede di applicazione e interpretazione sistematica che
valorizzino superiori principi giuridici, come quello che “l’etichettatura
di una fattispecie”, per esempio, licenziamento economico per motivo
oggettivo, non può mutarne l’intrinseca natura.
Ma non è questo il momento dell’interpretazione
e della resistenza in sede giuridica; è il momento della reazione di massa
contro il tentativo del governo di ridurre i lavoratori ad uno stato semi
servile di soggezione ed insieme di povertà.
PIERGIOVANNI ALLEVA
capolista de L’Altra Emilia Romagna
da il manifesto
capolista de L’Altra Emilia Romagna
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