Di Claudio Grassi
Che il governo Monti sarebbe stato
una iattura per i lavoratori, i pensionati e i ceti deboli del nostro Paese era
ampiamente prevedibile ed era stato da noi ampiamente previsto.
Giova però, a due mesi dal suo
insediamento, ribadire una serie di concetti al fine di motivare e dettagliare
al meglio la nostra proposta politica.
Il primo elemento che non va
dimenticato è che ci troviamo di fronte ad un governo che, per come si è
insediato e per la sua composizione, non ha come problema principale quello di
preoccuparsi del consenso rispetto alle azioni che compie. Da un punto di vista
democratico è una situazione che fa riflettere. Monti e i suoi ministri non
rispondono agli elettori, ma hanno il compito di fare quello che altri
organismi - anch'essi non legittimati da nessuna verifica democratica (Bce,
borse, mercati, istituzioni sovranazionali) - hanno stabilito che il nostro
paese debba fare.
Il secondo elemento è che - lungi
dall'essere per questo motivo un governo di tecnici super partes - l'esecutivo
Monti è massimamente "politico", perché ha prodotto intorno a sé la
convergenza del Pdl, del Pd e del Terzo Polo (come è già avvenuto in questi
anni in altri Paesi europei, a partire dalla Germania).
Coerentemente con ciò - e questo è
il terzo dato di fatto - il segno delle politiche proposte è esattamente lo
stesso che ha informato di sé, con poche differenze, le scelte dei governi
degli ultimi vent'anni: un segno regressivo, padronale, privatizzatore e
persino recessivo sul terreno dell'economia e della produzione.
Questo è vero sia per ciò che
riguarda la manovra (che ha tagliato le pensioni, reintrodotto l'Ici sulla
prima casa e aumentato la tassazione indifferenziata sui consumi, Iva e
benzina), sia per la cosiddetta "fase 2", nella quale si preparano
nuovi aumenti che peseranno per l'ennesima volta sulle condizioni economiche
dei ceti deboli (a partire dai rincari delle utenze) e riforme strutturali - in
tema di liberalizzazioni e mercato del lavoro - se possibile peggiorative del
già compromesso quadro legislativo attuale. Si pensi alla paventata riforma del
lavoro, che introdurrà, nei fatti, il diritto di licenziare entro i tre anni dall'assunzione
senza alcun vincolo e alcuna clausola da parte delle imprese: un atto di
macelleria sociale che, combinato alla legge 30, bene indica il grado di
"equità" delle politiche sociali del governo. La verità - ed è la
prima conclusione a cui giungiamo - è che tutto questo, lungi dall'essere il
prodotto inevitabile della necessità di "sistemare i conti", equivale
alla somma di scelte politiche precise, ognuna delle quali poteva essere
evitata e contraddetta con provvedimenti di segno opposto.
La controprova di questo
ragionamento è in quello che si sarebbe potuto fare (si potrebbe ancora fare) e
che invece non si è fatto (e si seguita a non fare): fare pagare l'Ici alla
Chiesa, tassare i grandi patrimoni, le rendite, le speculazioni finanziarie, tassare
i capitali già scudati, ridurre le pensioni faraoniche dei dirigenti d'impresa,
fare lotta severa e seria all'evasione fiscale, tagliare le spese militari, a
partire dagli aerei da guerra inutilmente comprati a prezzi semplicemente
immorali.
E allora, di fronte ad un simile
governo, l'unica linea politica possibile è quella che investe nell'opposizione
politica e sociale al governo e questo deve farlo la sinistra d'alternativa e
non certo la Lega Nord, che per quanto si sforzi di ricostruire un profilo più
di lotta che di palazzo, non può cancellare gli oltre dieci anni nei quali ha
governato con Berlusconi, condividendo ogni legge e ogni manovra economica.
Costruire l'opposizione, quindi.
Un'opposizione che sia politica, sociale, di movimento. Rifondazione comunista
e la Federazione della Sinistra propongono a quelle forze (Sel e Idv per prime)
che hanno espresso contrarietà alle politiche di Monti, di pervenire subito ad
un patto permanente di consultazione con l'obiettivo di costruire
un'alternativa di sinistra alle politiche del governo.
Un'alternativa che presti
particolare attenzione al mondo del lavoro. Perché il governo Monti non è
separato da un clima ultraliberista e antioperaio che respira tutto il Paese, a
partire dall'attacco della Fiat che, come avevamo denunciato, si sta già
cercando di estendere a tutte le aziende. Da questo punto di vista è
preoccupante che l'espulsione della Fiom-Cgil dalle fabbriche Fiat - un atto
senza precedenti, di una gravità inaudita- non abbia scosso le forze politiche
democratiche e non abbia prodotto una adeguata reazione. È anche questo il
segno dei tempi duri e difficili che stiamo vivendo. Ma non siamo certo noi a
rassegnarci e a chinare la testa, anzi!
Il 20 gennaio accoglieremo a Roma
Merkel e Sarkozy con una grande manifestazione di protesta; il 22 gennaio, a
Milano, faremo una manifestazione contro la manovra in alternativa a quella
della Lega Nord; il 27 gennaio parteciperemo allo sciopero generale del
sindacalismo di base e l'11 febbraio saremo in piazza insieme alla Fiom nella
giornata di mobilitazione straordinaria dei metalmeccanici. C'è una parte del
Paese che non si arrende e che continua a lottare. Facciamola crescere.
Liberazione 11/01/2012
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