venerdì 16 gennaio 2015

San Precario ricorda Bernard Maris economista eterodosso di Charlie Hebdo

In ricordo di Bernard Maris e di tutte le vittime del 7 gennaio 2015 a Parigi – a cura di Effimera
Tra gli assassinati di mercoledì 7 gennaio nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi c’era Bernard Maris, editorialista, economista eterodosso e membro del Consiglio generale della Banque de France. In suo ricordo e in ricordo di tutte le vittime, riproduciamo un articolo del 27 dicembre 2013 scritto per Charlie Hebdo, dove si prende posizione in favore del reddito di base.
Tante sono state le reazioni ai tragici fatti di Parigi, scatenando una serie di retoriche e strumentalizzazioni, a seconda dell’interesse politico di riferimento. I grandi media mainstream hanno colto la palla al balzo per parlare della rinascita di un’Europa unita e coesa che si batte contro il terrorismo. Anche loro avranno di che guadagnarci, con la riduzione dei diritti di privacy.
La reazione della élite politica è stata invece una ridicola marcia del primo stato, la manifestazione dell’ipocrisia. 
I 40 e più capi di Stato, tutti insieme appassionatamente nella storica foto, non rappresentano altro che loro stessi, un’oligarchia mondiale logora e divisa al suo interno ma sempre compatta nel far pagare agli altri i propri errori. In Europa, ad esempio, dove l’unione è tra chi prospera facendo pagare alla collettività i danni fatti dalla libertà dei mercati finanziari di speculare e depredare, soffiando sul fuoco devastante delle politiche di austerity. E’ l’unione di chi affossa la democrazia, mentre parla dello scontro di civiltà e della difesa dei cosiddetti “valori occidentali”. E’ l’unione di chi punta tutto sulla privatizzazione e sulla mercificazione della vita degli esseri umani. E’ l’unione di chi aizza il ritorno di un clima di paura per ridurre ancor di più le nostre già misere libertà di movimento e di opinione. E’ l’unione di chi su questa tragedia sta maturando profitti e consenso verso posizioni xenofobe e populiste.
Ma la sequenza non ci è nuova. Dichiarazioni di presunta unità hanno sempre uno scopo prettamente politico. Questa volta si tratta di prevenire che le elezioni elleniche del 25 gennaio sollevino un vento politico nuovo, che dalla Grecia e dal Mediterraneo si espanda in tutta l’Europa e getti le basi per un’alternativa politica di giustizia sociale, prima che di pacificazione. E così accorrono, i potenti, a blindare finestre e portoni, a blindare gli equilibri che fino ad oggi hanno garantito i loro interessi.
E così, l’unione rimane vuota e senza fiato. Perché non può che generare il suo opposto: disuguaglianza, marginalità e subalternità in quelle banlieue del mondo che maggiormente soffrono i morsi della crisi. Lì hanno origine le abominevoli gesta di distruzione e morte in nome di un credo religioso. Lì dove pochi anni fa si era alzata la rivolta della ‘racaille’, quella generazione delle promesse tradite, cui nessuno ha voluto dare una risposta politica. Non possiamo infatti dimenticare che gli autori del massacro di Parigi non sono corpi alieni venuti da altrove, ma sono nati e cresciuti in Francia. Le II e III generazione dei banlieusards hanno spesso attraversato percorsi di marginalizzazioni sociale: poca scuola, prospettive zero, criminalizzazione alta. Sono i figli di quelle contraddizioni (tagli dello stato sociale, solitudine, povertà e repressione) che la stessa Europa ha generato. 
E così, per quanto ci fossimo anche noi in quella piazza di sabato di Place de la Republique, non ci accontentiamo di una grande ma anonima mobilitazione di popolo, troppo facilmente divorabile dalle sirene dell’individualismo, del nazionalismo, della paura, del conformismo e dell’impotenza. Temiamo comunque che la nostra sincerità finisca per essere risucchiata all’interno di logiche di controllo biopolitico.
Viviamo ogni giorno su una montagna di menzogne e veli ideologici. Lo confessiamo, siamo a tratti sopraffatti. Forse, invece di combatterli uno per uno (signori della guerra e dei mercati e terroristi religiosi), bisognerebbe spazzarli via tutti assieme e, sotto vento di grecale, ricostruire l’immaginario collettivo.
Per questo preferiamo ricordare i morti di Parigi con un contributo fuori dal coro di uno di loro. Un contributo per costruire. Un contributo che ci ricorda come una riforma moderna del welfare state verso quello che noi chiameremmo un welfare del comune, in primo luogo fondato sull’erogazione di un reddito di base, rappresenti il miglior antidoto contro il nichilismo sociale che oggi sembra primeggiare.
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Perché il reddito minimo di esistenza è necessario per una società post-capitalista?
di Bernard Marisbernard-maris
Dobbiamo ancora credere in una società oltre il capitalismo… una società non violenta, altruista, rispettosa dell’ambiente, in breve, una società “anti-umana”, se presupponiamo che l’uomo, individualmente o in un gruppo, tende alla violenza, all’egoismo e alla distruzione dell’ambiente.
Un esempio recente? La Commissione europea ha appena autorizzato la pesca d’altura, al fine di permettere più velocemente la distruzione di ciò che è in pericolo d’estinzione…
Il Reddito Minimo di Esistenza (RME) dissocia il lavoro dal reddito, e in questo senso può essere considerato come il virus che potrà distruggere la società capitalistica.
Il capitalismo si basa sulla proprietà, la concorrenza, l’accumulazione, il valore di scambio. Ma al centro di questo quadrato malefico – costituito, lo ripeto, da proprietà, concorrenza, accumulazione e valore di scambio – si trova un nocciolo di energia: il lavoro salariato. Il lavoro imposto. Il lavoro subordinato alla produzione di denaro. Oggigiorno, tuttavia, il fattore decisivo dell’accumulazione non sono più le materie prime, bensì il capitale umano, o il lavoro qualificato, se si preferisce. Da dove viene questo lavoro qualificato? Dalla cultura accumulata dall’umanità, da Omero a Einstein, passando per Lavoisier, Alphonse Allais, Pierre Dac, Alexander Fleming, Picasso… Ogni essere, alla nascita, è erede di questa cultura. Erede di una sorta di rendita culturale, proprio come un buon terreno o una foresta possono rappresentare una rendita per l’agricoltore.
Filosoficamente, la redistribuzione di questa rendita è perfettamente legittima: per quanto concerne la Francia, gli economisti a favore del RME quantificano il suo valore attorno al 15% del PIL. In altre parole, l’85% del PIL del 2013 proviene dalla ingegnosità dei francesi, mentre il 15% restante da ciò che hanno ereditato (un valore che, solo in apparenza, può sembrare basso).
Si tratta di un interesse del 15% sul capitale umano accumulato dalle passate generazioni. Il 15% del PIL, distribuito a tutti i francesi, ricchi o poveri, equivale più o meno a 400 euro al mese. Per tutta la vita. Con questi 400 euro si fa ciò che si vuole: si lavora, non si lavora, si lavora a tempo parziale. In genere, il regime pensionistico costituisce un reddito minimo d’esistenza (basic income), versato incondizionatamente. In una società in cui le macchine stanno sostituendo così intensamente gli uomini (cassieri, piloti di aerei, autisti di tram o metropolitana, ecc., non hanno più motivo di esistere), il RME si giustifica anche in base al fatto che un volume crescente di ricchezza è prodotta da un volume decrescente di lavoro.
Il problema è che il funzionamento del mercato del lavoro, il lavoro salariato, gioca senza dubbio un ruolo socializzante. La cosiddetta fabbrica sociale, anche se lavorarvi non è il massimo della vita. André Gorzs, per esempio, si è a lungo opposto al RME proprio a causa della socializzazione attraverso il lavoro. Questa è la ragione per cui il RME non deve escludere il lavoro, ma diventare un suo complemento. In genere, il buon contratto di lavoro, il contratto di lavoro futuro, è il contratto d’intermittente dello spettacolo (con tutti gli abusi annessi, le Stars che se ne approfittano ecc.: ma sempre e ovunque ci sono i “free rider”). L’intermittente alterna lavoro e tempo libero e, quando lavora, lo fa nel campo della cultura, il che non è del tutto negativo.
Il RME è anche giustificato perché ogni essere umano possiede un diritto all’acqua, all’istruzione, alla salute. Si tratta di una radicale opposizione filosofica al RSA (Revenu de Solidarité Active), in quanto la A (ultima lettera di RSA, ndr.) richiede uno scambio di attività. I liberali pensano che il RME creerà una classe parassitaria a discapito degli autentici “attivi”. Probabilmente no. Ci saranno sempre dei soggetti “drogati” di lavoro subordinato. Ma il RME, separando il reddito dal lavoro subordinato, apre una breccia nel muro capitalista: finalmente si può vivere senza lavorare. Vivere senza lavorare è proprio ciò che di più nobile vi è nella pensione – senonché l’età pensionabile ha il piccolo difetto di coincidere con la vecchiaia; meglio essere un giovane nobile che un vecchio nobile.

Nota: il testo originale in francese è rintracciabile qui.
fonte: Quaderni di San Precario

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